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Channel: 1999 - Massimo Fini
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Sotto il pallone, niente

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Negli anni '50 per noi ragazzi c' era solo il calcio. I campi da tennis erano pochissimi e costavano troppo, roba da ricchi. Gli sci li conoscevano solo quelli che stavano in alta montagna. Le palestre delle scuole erano attrezzate, a volte, per il basket, ma era uno sport ancora lontano dalla nostra mentalità per cui si finiva per giocarlo solo in ambito studentesco. Il ciclismo, l'altro grande sport nazionale, ci piaceva molto, seguivamo il Tour, il Giro, la Sanremo, la Roubaix, quasi tutti avevamo la bicicletta, almeno di seconda mano, ma praticarlo anche solo a livelIo dilettantistico, partecipando a delle gare, era troppo complicato. Il calcio invece lo giocavamo tutti. Da bambini mettevamo le cartelle o i sassi a segnare le porte e giocavamo in qualsiasi spiazzo e anche sulla via se era sufficientemente larga. Il problema era il pallone. Spesso ci accontentavamo di fabbricarcelo mettendo insieme degli stracci e cercando di dargli una forma rotonda, nei casi migliori erano delle comunissime palle. Quando c' era un vero pallone da football, che allora aveva ancora la cucitura con le stringhe e se lo prendevi da quella parte di testa faceva un male boia, era una festa. Credo di aver visto il primo campo di calcio, con le porte, le reti, le righe bianche segnate, sui miei quattordici anni, al centro sportivo del Leone XIII dove andavano a studiare i figli dei ricchi un po' scemi (allora la superiorità della scuola pubblica sulla privata era fuori discussione). Mio figlio a sette anni giocava già su campi regolari, con le maglie, le scarpe bullonate e tutto quanto. Lo avevo iscritto io a una polisportiva, per disperazione. Tutti i sabati lo portavo infatti a dei giardinetti vicino a casa, con un pallone. Là trovavamo un' altra ventina di bimbetti, ognuno col suo pallone. Mai che gli venisse in mente di mettere da parte i loro palloni, tenersene uno, fare le squadre e giocare. Dovevo sempre organizzare tutto io. Allora mi ero stufato e avevo iscritto Matteo a una società che stava nei pressi di San Siro. Il calcio ha avuto quindi una grande importanza per quelli della mia generazione. Lo abbiamo giocato e ne abbiamo visto moltissimo, da tifosi. Ma è da parècchi anni che il calcio ha cominciato a stufare quelli come me. E stato svuotato dei suoi contenuti più autentici, che sono simbolici, rituali, mitici, irrazionali, per ridurlo solo a un fatto economico. Il calcio ha avuto la fortuna che ha avuto perché permette un forte processo di identificazione: con una città una squadra, una maglia, i colori, certi giocatori. Oggi i calciatori, anche importantissimi (vedi Baggio, vedi Vieri) cambiano squadra ogni anno e addirittura durante il corso del campionato. Sono dei puri mercenari. Non è possibile affezionarsi e identificarsi. Anche le maglie cambiano colore a seconda, delle esigenze degli sponsor. Ci sono squadre che mettono in campo anche dieci stranieri, ogni rapporto con la città e il suo humus, con la squadra, il suo carattere, le sue tradizioni, è rotto. Il calcio era un rito domenicale, una grande festa nazional-popolare interclassista. Allo stadio, esclusi quelli stronzi della Tribuna d'Onore, tutti stavano fianco a fianco, l'imprenditore e l' operaio, il professionista e il ragazzetto. Quasi sempre si finiva col fare amicizia col vicino, anche se era tifoso della squadra avversaria (bastava dargli ragione su un fallo) e alla fine ci si salutava stringendosi la mano. Oggi il calcio è spalmato su tutti i sette giorni della settimana ed è diventato una faccenda quasi esclusivamente televisiva per quelli che possono permettersi la pay tv e la pay per view. Allo stadio si andava per entrare nel «cerchio magico» del gioco, per dimenticare per due ore le tribolazioni quotidiane, i fatti dell'economia e della politica. Adesso scendono in campo squadre che si chiamano ancora Milan, Juventus, Parma ma che in realtà rappresentano gli interessi economici della Fininvest, della Fiat, della Parmalat quando non quelli politici dei loro presidenti. Anche in questo Berlusconi è stato un antesignano. Per anni il Milan non è stato una squadra di calcio di Milano ma il settore pubblicitario trainante della Fininvest (se cercate Milan sull ' elenco del telefono trovate «vedi Fininvest») e uno dei più importanti veicoli delle ambizioni politiche del Cavaliere. Quando i tifosi si renderanno conto che in campo non ci sono più il Milan, l'Inter, la Juventus, la Lazio, ma solo giganteschi interessi finanziari, economici e politici, abbandoneranno lo stadio e il calcio diventerà definitivamente un intrattenimento televisivo come un altro, intercambiabile. E nel giro di qualche anno, sarà la sua fine.


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